VIETATO SPOSTARE LE FIORIERE

E’ REATO SPOSTARE LE FIORIERE DEL VICINO

Integra il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose, la condotta del vicino che rompe o semplicemente sposta le fioriere poste al contestato confine con la proprietà del vicino.

Ciò in quanto il reato in questione è integrato anche nell’ipotesi di mutamento della destinazione o dell’utilizzazione della cosa, indipendentemente dalla sua fisica alterazione e dal verificarsi di danni materiali.

Proprio per questo motivo, il reato di commette anche solo rimuovendo i vasi posti a confine fra due proprietà in funzione di recinzione, perché anche lo spostamento di essi ne modifica la destinazione, senza che occorra che i vasi stessi vengano infranti.

REATO FARE FOTO AI VICINI

E’ REATO DI MOLESTIE SCATTARE FOTOGRAFIE AI CONDOMINI NELLE PARTI COMUNI

Il reato di molestia (art.660 codice penale), viene a configurarsi anche nel caso in cui vengono riprese fotografie dalle parte offesa e dei suoi ospiti – contro la loro volontà – nelle parti comuni del condominio.

Tali parti sono state ritenute “spazi aperti al pubblico” dal momento che hanno diritto di accedervi sia i condomini che i loro ospiti.

Nella specie la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza di condanna alla pena di € 200,00 di ammenda per il reato di cui all’art. 660 c.p., in quanto il comportamento di scattare fotografie nei confronti della parte offesa e dei suoi ospiti, contro la loro volontà mentre si trovavano nello spazio antistante la loro abitazione costituiva gli estremi della molestia.

DONNE CHIUSE IN CASA

MOGLIE CHIUSA IN CASA E’ UN REATO

Costringere la moglie a vivere chiusa in casa controllata da una telecamera è violenza privata.

Lo ha stabilito la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione confermando l’ordinanza del Tribunale del Riesame che aveva disposto la misura cautelare del divieto di dimora dello stesso comune di residenza della moglie nei confronti di uomo accusato del reato di violenza privata.

L’indagato aveva infatti obbligato la moglie a modificare le proprie abitudini di vita, rinunciando ad uscire a piedi e, comunque, a limitare le proprie uscite, a vivere chiusa in casa, controllandola continuamente attraverso una telecamera esterna appositamente installata, e pretendendo la compagnia della madre nelle notti in cui era impegnato in turni di lavoro notturni.

Il Giudice per le indagini preliminari aveva respinto la richiesta di applicazione della misura
degli arresti domiciliari avanzata dal Pubblico Ministero, non ritenendo ravvisabili
nella fattispecie gli estremi del reato di violenza privata, la richiesta di misura cautelare,
anche se limitata al divieto di dimora, era invece stata accolta dal Tribunale del Riesame.

La Suprema Corte, respingendo il ricorso dell’indagato che sosteneva che le limitazioni imposte alla moglie erano frutto di attenzioni amorose ha ravvisato gli elementi del reato di violenza privata, in quanto il comportamento del marito non aveva nulla a che fare con le “attenzioni amorose”, ma era diventato un sistema di reiterare molestie e minacce tali non solo da costringere la persona offesa ad un radicale cambiamento del suo regime di vita, ma a tollerare anche pesanti intrusioni nella sua vita privata e nella sfera della sua riservatezza.